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Un Pezz...in di storia del fumetto
di Claudia Rege Cambrin
(Estratto dal libro: "Giorgio Pezzin" edito da PApersera)

 

Quando mia figlia Elisa aveva quattro anni, metterla a letto era un dramma. Refrattaria alle “solite” storie, ne chiedeva sempre di nuove, sempre diverse, così a volte mi capitava di leggerle un’avventura Disney per accontentarla. Una sera toccò a “Zio Paperone e il giocattosauro” di Giorgio Pezzin: una avventura in cui zio Paperone manda i nipoti in Amazzonia alla ricerca di un dinosauro giocherellone da esibire nel suo circo. L’animale viene trovato, ma si rivela un po’ troppo affabile: basta dirgli “ghiri ghiri ghiri” che comincia a saltellare come un cucciolo, e finisce per lanciarsi in braccio al “padrone” come un cagnolino... di parecchie tonnellate! La storia colpì moltissimo Elisa, e per le settimane seguenti il rito della buona notte fu rappresentato da lei che saltava a quattro zampe come il giocattosauro, finché, con l’ultimo salto, gridava “e salta sulla schiena con EFFETTI DISTRUTTIVI!” e si buttava nel letto. A questo punto il gioco era fatto: bastava rimboccare le coperte, darle il bacino della buona notte, e via!, pronti per una notte di sonni felici, grazie al giocattosauro.


Un cucciolo decisamente pericoloso (da “Zio Paperone e il giocattosauro”).

E grazie a Giorgio Pezzin. E questo è solo uno dei tanti grazie che devo a questo autore, e come me chiunque ami il fumetto Disney ha molti motivi per pensare a lui con affetto ed ammirazione. Motivi che possono variare da lettore a lettore, a seconda dei gusti, perché Pezzin ha lavorato molto, e in molti modi, per soddisfare i suoi lettori. Ad esempio, gli appassionati di fantascienza apprezzeranno i suoi cicli dei “Signori della Galassia” e delle “Cronache della Frontiera”, oltre alle innumerevoli storie di ambientazione spaziale; chi invece è più interessato al passato ricorderà i molti viaggi di Topolino e Pippo con la macchina del Tempo; se vi interessano i misteri esoterici ci sono le avventure di Top de’ Tops, se preferite il fantasy c’è la parodia del Signore degli Anelli (“Paperino e il signore del Padello”), mentre per le saghe storico-avventurose c’è “C’era una volta... in America”. Gli estimatori di Paperinik (e non sono pochi) ricorderanno che molte delle avventure più divertenti dell’Eroe Mascherato portano proprio la firma di questo autore, gli amanti della satira pungente non potranno non ricordare quel piccolo capolavoro che è “Paperino portaborse”, gli ambientalisti gli dovranno riconoscere di aver spesso sollevato temi a loro cari, e così via, elencando i mille motivi per applaudire uno degli sceneggiatori più originali del panorama italiano. Mille motivi, ma per la sottoscritta uno prevale su tutti: le sue storie sono, per dirla in parole povere, molto divertenti.

Più di tutto io sono affezionata alle primissime, quelle degli anni settanta, realizzate in coppia con disegnatori del calibro di Massimo De Vita, Luciano Gatto, Giorgio Cavazzano. In particolare con quest’ultimo Pezzin forma un connubio di grande successo, che porterà alla realizzazione di una quarantina di avventure. Fra queste mi piace ricordare quelle che vedono Paperino e Paperoga all’opera per conto di zio Paperone, accomunate da un incipit che si ripete: Paperone ha un problema, qualcuno gli propone una soluzione che richiede due volontari disposti a compiere una qualche assurda impresa... “CE LI HO IO!” esulta Paperone; sta pensando ai due nipoti che, nel giro di qualche vignetta, sono già in azione.

Lo schema non è usatissimo: il “ce li ho io!” che tanto mi è rimasto impresso viene pronunciato in tutto solo tre volte, con qualche variante (ecco i titoli: “Paperoga e il peso della gloria”, “Paperoga e l’isola a motore”, “Zio Paperone e la vittoria a 50 karati”), ma si tratta di storie che anche da sole basterebbero a qualificare un grande artista. C’è da sottolineare che lo stile che Cavazzano adottava in quegli anni, molto sperimentale e dinamico, con i personaggi che sembravano voler schizzare fuori dalla tavola (e a volte lo facevano, con una mano, una zampa, un cappello che sfondavano la gabbia delle vignette per fuoriuscirne), si adattava magnificamente alle sceneggiature dirompenti, ricche di gag, di colpi di scena e di trovate al limite dell’assurdo di quelle storie.

Gli elementi che accomunano queste storie sono notevoli. Anzitutto, il dinamismo: chi è abituato a pensare a Paperino come ad un dormiglione che non fa che passare dal letto all’amaca non le ha lette. Paperino è, al contrario, attivo, scattante, in forma (basti pensare che all’inizio di “Paperino e la visita distruttiva” si lamenta della propria inattività). Ma anche Paperoga, i nipotini, Rockerduck, i Bassotti e tutti gli altri non sono certo spaventati dalla fatica, e compiono vere e proprie imprese titaniche la cui portata è chiaramente paradossale. Del resto, da queste storie si evince che forza e resistenza sono doti diffuse, a Paperopoli come a Topolinia. La resistenza, soprattutto, ha del sovrannaturale: buoni o cattivi, i personaggi di Pezzin si fanno male spesso, e nei modi più disparati. Le risse sono all’ordine del giorno, così come le legnate sulla testa, ma non mancano modi più originali e devastanti per infortunarsi. Ecco alcuni esempi: c’è chi viene travolto da un blocco di ghiaccio materializzatosi a mezz’aria (“Zio Paperone e il ricatto metereologico”), chi è investito da una cucina economica attirata da un asteroide magnetizzato (“Zio Paperone e l’asteroide minerario”), chi precipita al suolo a bordo di una meteora manovrata con “motore a peperoni” (“Zio Paperone e la terra di luna”), chi viene sparato con un cannone per mezzo di una palla legata alla caviglia (“Topolino e l’evasione clinica”); certuni precipitano per dieci minuti in un pozzo apparentemente senza fondo (“Zio Paperone e il mistero del maniero”), altri sono travolti dal giocattosauro in vena di effusioni (“Zio Paperone e il giocattosauro”), altri ancora sono sparati come siluri viventi da un sottomarino (“Paperoga e il peso della gloria”). Se la battuta “ce li ho io” compare pochissime volte, al contrario gli “AHIO!” (e simili “AHI!”, “OHI!” eccetera) non si contano.

Per fortuna (loro), i personaggi dei fumetti non si fanno mai veramente male. Probabilmente ne sono consapevoli essi stessi, o non si spiegherebbe l’avventatezza con cui si lanciano in certe imprese, o la spregiudicatezza con cui compiono misfatti di portata mondiale, incuranti delle conseguenze. Alcuni esempi: prosciugare un intero oceano (“Zio Paperone e l’acqua concentrata”), far ribollire il Mar Mediterraneo trasformandolo in un’immensa zuppa di pesce (“Zio Paperone e il caldo-spray”), boicottare “alla cieca” una intera serie di missili atomici (“Zio Paperone e l’asteroide minerario”), liquefare la torre Eiffel (“Zio Paperone e lo specchio solare”), raddrizzare la Torre Pendente (“Zio Paperone e la torre di Pisa”), danneggiare un assortimento misto di monumenti internazionali per poi sostituirli con copie in plastica (“Zio Paperone e la sfida turistica”). Imprese surreali, talmente paradossali da spingere l’incredulo lettore a chiedersi come possano essere state anche solo concepite dall’autore.

Del resto, l’esagerazione è l’elemento chiave di buona parte delle trovate umoristiche di Pezzin. Attraverso questo meccanismo vengono realizzate alcune delle gag che rimangono più impresse, in cui la chiara assurdità della situazione rappresentata crea uno straniamento che lascia il lettore piacevolmente sorpreso e divertito. Ad esempio, non basta che Paperone si disperi per una bolletta troppo cara: serve che sia “letteralmente esploso”, come annuncia il telegiornale (“Zio Paperone e il caldo-spray”). Non basta che Paperino e Paperoga si debbano scontrare con un tipo poco socievole: deve essere un vero e proprio eremita, difeso da “doberman elefanteschi”, poi definiti anche “cani piranhas” (“Paperino e il croccante al diamante”). Non basta che il professor Bilingstone, di ritorno da anni di stenti da disperso nella giungla, si procuri una indigestione: deve finire in coma dopo aver mangiato “56 polli e 375 bignè” (ancora la storia del giocattosauro). Non basta che la “divina Wanda Obiris”, stella ormai attempata del cinema, sia contraria ai baci sulla scena: serve che un semplice bacetto sulla guancia la precipiti in deliquio irreversibile, come urla il regista disperato: “È SVENUTA PER SEMPRE!” (da “Zio Paperone e il ponte di Messina”). Nella stessa storia apprendiamo come il prode avventuriero Lessner, dopo aver “scalato il K2 a piedi nudi e attraversato l’Antartide a testa in giù”, ritenga di doversi cimentare nella sua impresa più pericolosa: attraversare lo stretto di Messina su un ferry-boat di linea!

Ed ecco un altro elemento frequente nell’umorismo pezziniano: se le imprese più incredibili vengono compiute dai suoi eroi come fossero cose ordinarie, i guai quotidiani del lettore vengono spesso innalzati al rango di catastrofi insormontabili. Una partenza per le ferie diventa impresa irrealizzabile (il già citato ferry-boat, ma anche le sequenze iniziali di “Zio Paperone e le spiagge sovrapposte”); sopportare il vicino chiassone è addirittura prova da superare in un concorso con migliaia di partecipanti (“Paperino e la contesa della casa”); per aprire il congelatore occorre attrezzarsi come un esploratore polare (“Zio Paperone e le piantagioni polari”); e ci si meraviglia di come personaggi “rotti a tutto” che hanno sopportato pressoché incolumi prove fisiche micidiali, soccombano di fronte al semplice odore dei cavoli stagionati (“Zio Paperone e le rapine ecologiche”). Poi c’è l’elemento surreale, inserito nella quotidianità con una naturalezza che lo fa passare quasi inosservato: come ad esempio la gag ricorrente dell’annunciatore televisivo che dialoga attivamente con lo spettatore, rispondendo alle sue domande (alcuni esempi: “Zio Paperone e lo specchio solare”, “Zio Paperone e la fattoria orbitale”, “Zio Paperone e il riscaldamento sotterraneo”).

Altro talento indiscusso di Giorgio Pezzin, uno che da piccola ammiravo moltissimo, è quello di coniare nomi parodistici che ricordano quelli di personaggi realmente esistenti, creando divertenti giochi di parole. Di Lessner e Wanda Obiris abbiamo già detto: ma possiamo citarne molti altri, da Gingerin Rogers (“Paperino e l’eroico smemorato”) a Emerlon Fritticaldi (“Zio Paperone e la vittoria a 50 karati”), dal colonnello Baracca (che compare sia in “Zio Paperone e i campi galleggianti” che in “Zio Paperone e il riscaldamento sotterraneo”) al calciatore Diego Maramaschio (“Topolino e l’intruso spazio-temporale”), all’onorevole Pennichellis (“Paperino portaborse”). Il record di tali spassosissimi nomi si trova, senza ombra di dubbio, nella storia “Zio Paperone e l’avventura in Formula 1” dove sono citati Alain Crost, Michele Alberetto, Nicky Bagnacauda, Riccardo Pretese, il latte Tarmalat, la maglieria Polpetton, l’ingegner Enzo Perrari e molti altri.

Vorrei concludere questo mio omaggio a Giorgio Pezzin con una rapida carrellata sui personaggi che a mio giudizio ha saputo meglio “manovrare”, dando loro una impronta originale e caratteristica. Anzitutto Paperoga, che da personaggio banalmente strampalato e combinaguai diventa un fidato compagno di avventura per Paperino. Se nelle storie originali Paperino evitava Paperoga o ne subiva l’irruenza, nelle avventure scritte da Pezzin i due sono soci “alla pari” che dividono equamente i guai. Paperoga è anche parte attiva nella risoluzione dei problemi, grazie anche al suo “lateral thinking” che lo porta a pensare metodi poco ortodossi ed anche pericolosi, ma tutto sommato efficaci per risolvere le situazioni più impensate (cito in particolare “Paperoga e il peso della gloria” e “Paperino e il recupero sottomarino”).

C’è poi Paperone, rappresentato come un uomo d’affari interessato al lucro, ma sotto sotto animato da altre motivazioni: più che dalla brama di denaro Paperone sembra spinto dalla determinazione a mantenere il prestigio agli occhi del mondo, e quando un affare sembra andare storto si cruccia più di quello che penserà il pubblico del suo fallimento che del denaro perso (vedere ad esempio “Zio Paperone e la sfida turistica” o “Zio Paperone e le vacanze alternative”).

Specularmente, anche il rivale Rockerduck pare più spinto dal desiderio di battere Paperone che da quello di avere successo, tanto che arriva a spendere cifre notevoli nei suoi vari tentativi di “bidonare” Paperone (esempi in “Zio Paperone e la guerra dei nervi” o “Zio Paperone e la raffineria galleggiante”). A tale scopo Rockerduck mostra di non avere scrupolo alcuno: soprattutto nelle storie degli anni ’70 è un “villain” a tutti gli effetti, che pur di battere Paperone non è per niente restio ad infrangere la legge e ad allearsi con la Banda Bassotti o con altri figuri (esempi estremi li troviamo in “Zio Paperone e la truffa archeologica”, in cui si dedica al furto e ricettazione di opere d’arte, o in “Zio Paperone e la nuova glaciazione”, in cui con l’aiuto del “professor Antipatik” boicotta una invenzione di Archimede provocando uno sconvolgimento climatico). Gli sforzi di Rockerduck sono comunque destinati al fallimento, con la frustrazione da sbollire divorando cappelli. Su questa particolare abitudine dell’avversario di Paperone Pezzin costruisce diverse gag, fra cui quella che lo vede, nella storia “Zio Paperone e i campi galleggianti”, tornare da una cura disintossicante in una clinica specializzata (ma l’effetto della cura sarà, ahilui, di breve durata).

La Banda Bassotti, infine, è a mio giudizio uno dei “capolavori” di Pezzin. Pur ridotta ai minimi termini quanto a numero di componenti (il nonno, patriarca e capobanda, più due nipoti decisamente succubi), la Banda Bassotti di Pezzin è temibilissima quanto a crimini compiuti. Rispetto alla “terribile Banda Bassotti” di Barks sono più scalcinati, più portati ad arrangiarsi, ma anche più creativi, originali e divertenti. Alcuni esempi: riescono a fabbricarsi tute da astronauti con camere d’aria da biciclette, usando bocce per i pesci come caschi (“Zio Paperone e lo specchio solare”); costruiscono un sottomarino con una autobotte con il fanale di una bicicletta come luce di segnalazione (“Zio Paperone e la raffineria galleggiante”); dopo aver rubato un carro armato, a colpi di martello lo trasformano in un veicolo per esplorazioni sotterranee (“Zio Paperone e il vulcano d’oro”)


In definitiva, non si può che riconoscere a Giorgio Pezzin di aver incoccato molte frecce al suo arco, per centrare l’obiettivo di divertire: è inevitabile che, pur tenendo conto dei gusti diversissimi che variano da lettore a lettore, molte colgano il segno, lasciando un lieto ricordo. Non per nulla il suo è stato il primo nome di sceneggiatore che io abbia mai sentito citare: ero al liceo, mi scappò una citazione da “il ponte di Messina” ed una mia compagna replicò che “lo stile di Pezzin è inconfondibile”. Non era una filologa, neppure una lettrice particolarmente accanita: solo una ragazza che si era divertita, e molto, a leggere quelle avventure straordinarie. Grazie a Giorgio, anche da parte sua.

 

 

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